Luigi Amato Kunst
Secondo una prospettiva biologica, se la cellula madre non trasmette le informazioni genetiche alla cellula figlia, quest’ultima non potrà sopravvivere.
Secondo una prospettiva antropologica e filosofica, se l’individuo non riceverà il patrimonio storico culturale del genitore, l’individuo subirà una frattura narrativa. Un’alienazione del sé.
Kierkegaard ci ricorda come l’Io, o il sé, siano una sintesi, e quindi una relazione. Una tale relazione dev’essere fondata o dal sé medesimo, o da qualcun altro. Il sé dell’uomo è una relazione stabilita per derivazione, una relazione che si rapporta ad altro.
Questo è il motivo per cui sussistono due forme di alienazione del sé in senso stretto. Parafrasando la descrizione che Kierkegaard fa del sé, o dell’Io “se l’Io dell’uomo fosse un io fondato da sé medesimo, allora potrebbe esserci solo una forma di alienazione: non essere sé stessi, ma non nella forma “nella disperazione voler essere sé stessi.” La nozione di disperazione in Kierkegaard esprime l’incapacità del Io di essere in equilibrio e riposare in sé stesso. Per questo, occorre che il sé si relazioni a ciò che ha fondato e stabilito la relazione nella sua interezza (cfr. La malattia per la morte, ed. inglese, pp.13-14)
“Se la persona disperata è consapevole della sua disperazione (…) e cerca con tutta la sua volontà di interrompere la disperazione da solo (…) questo lo condurrà progressivamente in uno stato di disperazione sempre più profondo (…). La formula che descrive lo stato dell’Io quando a disperazione è definitivamente sradicata è: nel voler essere sé stesso, il sé riposa in modo trasparete nella potenza che l’ha fondato” (S.U.D. p. 14, traduzione mia).
L’identità del sé ha due sorgenti: una relazione e una narrazione.
In quanto relazione, il Sé è un movimento che esprime sia la relazione con gli altri e sia la relazione con sé stesso, di consapevolezza. Noi siamo un sé in virtù della nostra relazione con gli altri. Si parte dall’idea che qualsiasi esperienza presuppone un soggetto che fa esperienza. Il sé può essere compreso solo in relazione all’auto consapevolezza e all’esperienza. Per questa ragione il sé è anche un processo di socializzazione.
Kierkegaard afferma che il sé è un movimento più che una relazione. “E l’io cos’è? È un rapporto che si rapporta a se stesso, oppure è nel rapporto il rapportarsi per cui il rapporto si rapporta a se stesso, l’io non è un rapporto ma il rapportarsi a se stesso.” (Kierkegaard, S.A, La Malattia Mortale, in Opere, Firenze 1972, p.625). Quindi il sé è il costante movimento del relazionarsi.
La nozione del Sé è cruciale per una comprensione della coscienza, ed è indispensabile per una varietà di discipline, come la filosofia della mente, la filosofia sociale, la psichiatria, la psicologia evolutiva, e le neuroscienze cognitive (Zahavi 2008, p.1, traduzione mia).
Il concetto di Sé è stato messo in discussione. Alcuni hanno sostenuto che il sé non è altro che un’illusione (Dennett, Wegner, Metzinger), altri hanno affermato che il sé è un’invenzione di rilevanza storica limitata (Barrios and Markova). (Zahavi, ivi).
Se qualcosa come il Sé esiste, che ruolo ha nella nostra vita cosciente e quando si manifesta nello sviluppo del bambino? Cosa potrebbero rivelarci certi disordini psicopatologici e neuropsichiatrici, come la schizofrenia e l’autismo, sulla fragilità dell’identità del sé e la sua coerenza? (cfr.Zahavi 2008).
In che senso il sé è una narrazione?
In biologia, la trasmissione genetica consiste nel trasferimento delle informazioni contenute nel patrimonio genetico dal gene ad un’altra generazione (dalla cellula madre alla cellula figlia), ed è quindi sinonimo di eredità genetica. Questo passaggio delle informazioni genetiche è la condizione fondamentale per qualsiasi forma di vita biologica.
Nella costituzione del sé, il trasferimento di informazioni dal genitore al figlio è la condizione antropologica fondamentale per lo sviluppo di un’identità autentica e coerente. Questo continuo trasferimento e relazionarsi del sé secondo una trama storica, consente di affermare che il sé possiede una struttura narrante.
La mente umana è intenzionale, ne senso che l’uomo crea il suo orizzonte intenzionale. La trama narrativa si costruisce attraverso il flusso delle esperienze nella coscienza. In certi casi, questo processo narrativo viene interrotto o fratturato. La narrazione autentica è sostituita da una storia artificiale che connette gli eventi in modo verosimile solo in superficie. Questo è un segno dell’alienazione del sé.
Per sradicare il senso di disagio di un sé alienato, straniato, la filosofia narrativa aiuta nella ricostruzione degli eventi e nell’investigazione dell’oggetto, consentendo all’Io di relazionarsi ad una sua storia più autentica. Questo non avviene esprimendo sentimenti, emozioni e pensieri, come accade in psicoanalisi. Al contrario, il processo narrativo muove dall’ investigazione dell’oggetto, sospendendo giudizi, emozioni, sentimenti, per interpretare la realtà in modo rigoroso.

BIBLIOGRAPHY
Olson, Eric T., “Personal Identity”, The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Spring 2016 Edition), Edward N. Zalta (ed.), URL = <http://plato.stanford.edu/archives/spr2016/entries/identity-personal/>.
Zahavi D, Subjectivity and Selfhood, MIT Press Paperback Editions, 2008.
Kierkegaard, S.A, The Sickness Unto Death, tr. Howard, Edna Hong, Princetown University, 1980